Industrial Policy » Documenti https://www.industrialpolicy.net Un nuovo sito targato WordPress Wed, 26 Nov 2014 14:01:18 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=3.9.25 La trasformazione silenziosahttps://www.industrialpolicy.net/2014/politica-industriale/trasformazione-silenziosa/ https://www.industrialpolicy.net/2014/politica-industriale/trasformazione-silenziosa/#comments Mon, 17 Nov 2014 10:19:14 +0000 http://www.industrialpolicy.net/?p=307 Il Dipartimento di Economia dell’Università di Parma ha realizzato un interessante volume open-source dedicato alle caratteristiche e ai mutamenti del sistema produttivo italiano. Il volume, intitolato “La trasformazione silenziosa – Cambiamento strutturale e strategie di impresa nell’Industria italiana”, è curato da Alessandro Arrighetti e Augusto Ninni e raccoglie diversi interessanti contributi di alcuni tra i principali studiosi del [...]

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Il Dipartimento di Economia dell’Università di Parma ha realizzato un interessante volume open-source dedicato alle caratteristiche e ai mutamenti del sistema produttivo italiano.

Il volume, intitolato “La trasformazione silenziosa – Cambiamento strutturale e strategie di impresa nell’Industria italiana”, è curato da Alessandro Arrighetti e Augusto Ninni e raccoglie diversi interessanti contributi di alcuni tra i principali studiosi del sistema produttivo italiano.

Il progetto è stato pensato come strumento di approfondimento gratuito per gli studenti “più curiosi”.

Il volume è liberamente accessibile a questo link

 

 

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Imprese e Internazionalizzazionehttps://www.industrialpolicy.net/2013/politica-industriale/imprese-e-internazionalizzazione/ https://www.industrialpolicy.net/2013/politica-industriale/imprese-e-internazionalizzazione/#comments Tue, 26 Nov 2013 09:55:20 +0000 http://www.industrialpolicy.net/?p=252 Questo articolo intende individuare un percorso di riforma e rilancio dell’azione amministrativa in materia di internazionalizzazione. E’ stato scritto da Ercole Sisifo (Università di Corinto) e ha beneficiato delle indicazioni di un gruppo di esperti del settore che hanno chiesto di rimanere anonimi. Ciononostante, le opinioni e le notizie in esso contenute impegnano solo l’estensore. [...]

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Questo articolo intende individuare un percorso di riforma e rilancio dell’azione amministrativa in materia di internazionalizzazione. E’ stato scritto da Ercole Sisifo (Università di Corinto) e ha beneficiato delle indicazioni di un gruppo di esperti del settore che hanno chiesto di rimanere anonimi. Ciononostante, le opinioni e le notizie in esso contenute impegnano solo l’estensore.

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Internazionalizzazione, cosa c’è di nuovo?

Così come per il decennio trascorso, anche nei prossimi anni la domanda estera rappresenterà la componente più dinamica nella crescita del reddito e dell’occupazione: nel biennio 2013/2014 si prevede una crescita del commercio mondiale superiore al 7% annuo, capace di compensare in buona parte la debolezza della domanda interna in Italia e in Europa.

La capacità di agganciare in modo più consistente la crescita mondiale, difendendo e accrescendo le quote di mercato italiane nel mondo, rappresenta un fattore determinante per la ripresa economica e per il superamento della crisi produttiva e occupazionale in atto. L’apertura internazionale ha sostenuto anche l’occupazione, pur con inevitabili contraccolpi, dovuti alla maggiore competizione, che devono essere compensati da politiche mirate. Studi recenti, come quello di Lelio Iapadre nell’ultimo rapporto dell’Agenzia Ice, mostrano che la specializzazione italiana si è rafforzata in prodotti a tecnologia intermedia, mentre segnali in tal senso sono ancora molto deboli nei manufatti ad alta tecnologia.
L’Italia, in quanto sistema orientato alla trasformazione, è uno dei paesi industriali che può beneficiare maggiormente da un’ulteriore apertura agli scambi con l’estero e da una maggiore presenza sui mercati internazionali: nel 2011 le imprese italiane hanno esportato beni per 375 miliardi di euro, con un aumento dell’11,4% che ha rappresentato la più consistente componente positiva alla crescita del prodotto interno lordo.
La debolezza dell’euro e la composizione merceologica della domanda mondiale favoriscono in questo momento le possibilità di un’ulteriore espansione estera del sistema produttivo italiano, non solo in termini di esportazioni ma anche di radicamento all’estero delle reti italiane di produzione e distribuzione.
Accanto a 180.000 imprese italiane che esportano prodotti manufatti sono attive all’estero oltre 20.000 filiali, che impiegano 1,4 milioni di lavoratori. La catena del valore attraversa ormai, per alcuni prodotti più e più volte, i confini degli stati e il commercio estero va trasformandosi da scambio di beni a scambio di compiti (goods vs. tasks). Diventa quindi ancora più imperativo superare il paradigma mercantilistico e disegnare il sostegno all’internazionalizzazione con strumenti in grado di rafforzare la capacità di trarre beneficio dai processi di (ri)posizionamento nella catena del valore, sia in termini di upgrading verso fasi a maggior valore aggiunto sia di conquista di una posizione di leadership rispetto alle altre imprese che della catena fanno parte.
Due terzi delle esportazioni italiane sono ancora concentrati sui mercati europei, dove la crescita è bloccata dalla crisi finanziaria e dal peso del debito pubblico. Per contro le quote di mercato dell’Italia sono esigue e inferiori a quelle dei principali concorrenti nei mercati in forte crescita, che sono anche quelli più lontani, complessi e caratterizzati dalle maggiori barriere culturali e politiche. L’Italia detiene il 2,9% delle importazioni mondiali, ma solo lo 0,9% di quelle cinesi, mentre la Germania è al 4,7% delle importazioni cinesi a fronte di una quota dell’8,1% nel mondo.
Rispetto alla concorrenza tedesca, francese, statunitense, le attività internazionali delle nostre imprese soffrono maggiormente la grande distanza e la complessità dei nuovi mercati che possono essere affrontati con successo solo con risorse adeguate in termini informativi, organizzativi, finanziari e manageriali. Un recente studio dell’Istituto Tagliacarne ha accertato che a spingersi nei mercati lontani sono solo le imprese con un fatturato superiore ai 10 milioni di Euro.
Misure di sostegno all’internazionalizzazione e relative strutture sono presenti nelle politiche economiche e industriali di tutti i paesi. Si agisce non solo sul versante della politica estera e della politica commerciale, ma anche potenziando interventi specifici che, accanto alle misure di politica industriale volte a migliorare la competitività e stimolare l’innovazione, offrono alle imprese impegnate all’estero anche in modo integrato servizi e agevolazioni sia finanziari e assicurativi sia reali, ovvero di formazione, informazione, accompagnamento e promozione internazionale.
Il sostegno pubblico alle diverse forme di integrazione internazionale oltre a rendere l’offerta più reattiva e competitiva genera benefici per tutto il sistema, poiché le imprese più esposte alla concorrenza internazionale diventano più efficienti e competitive anche sul mercato interno.
Per questo, quale che sia il proprio livello di sviluppo economico, tutti i paesi attuano politiche di sostegno all’internazionalizzazione delle imprese e di attrazione degli investimenti esteri. I paesi industriali si avvalgono di uno o più enti pubblici specializzati per le diverse funzioni, finanziarie, assicurative, export promotion, attrazione investimenti e di cooperazione internazionale. I più grandi, come Usa, Germania, Francia e Regno Unito, dedicano a queste attività risorse umane ed economiche di gran lunga superiori a quelle stanziate dall’Italia, anche al lordo dei tagli effettuati negli ultimi esercizi (vedi grafico).

Dotazione risorse umane

Queste misure, ovunque strettamente raccordate alle politiche industriali, sono dirette principalmente alle piccole e medie imprese (Pmi) e sono finalizzate ad attenuare le asimmetrie informative e operative tra le imprese “locali” e le imprese “distanti”, altrimenti vittime di uno svantaggio competitivo.
Avere un sistema efficace di supporto pubblico è tanto più importante in Italia dove il sistema produttivo è incentrato su microimprese e Pmi, chiamate a confrontarsi su mercati sempre più lontani e difficili. L’azione di sostegno pubblico attraverso i servizi reali e finanziari tende infatti anche a ridurre i costi necessari a realizzare le precondizioni per l’internazionalizzazione, altrimenti eccessivamente onerosi per le singole Pmi, ad aggregare l’offerta, a effettuare azioni di marketing sui mercati internazionali e ad accrescere le competenze professionali del management.
Il sistema di sostegno italiano all’internazionalizzazione, ancora fino alla fine dello scorso secolo sufficientemente allineato al benchmark dei principali concorrenti e da alcuni addirittura preso a modello, è entrato in crisi nell’ultimo decennio, durante il quale le politiche dei governi di centro-destra non hanno saputo dare risposte alle esigenze di riforma che venivano dalle trasformazioni dei mercati al di qua e al di là dei confini italiani.

Le politiche degli ultimi anni e le ragioni di una riflessione
Il governo di centrosinistra, seppure in modo non sempre lineare, aveva cominciato un lavoro di revisione degli strumenti e di riorganizzazione delle strutture, per irrobustire gli enti e mettere nuovi strumenti a disposizione delle imprese.
Parte dello stesso disegno era l’istituzione di una Cabina di Regia nell’ambito del Cipe e l’istituzione degli Sportelli Regionali per l’Internazionalizzazione (Sprint), che apriva la strada dell’integrazione, a livello di strutture, tra livello statale (Mini-stero delle Attività produttive, Ice, Sace, Simest) e territorio (Regioni, Camere di Commercio, Unioncamere, Centri Estero).
L’intera attività doveva tendere ad un armonico quadro in cui gli attori intervengono a formare un progetto unico, nel rispetto delle competenze di ciascuno, senza duplicazione e sbavature e con evidenti vantaggi in termini di efficacia e efficienza.
Le tappe disegnate miravano a portare sempre più vicino alle aziende l’offerta di servizi pubblici per il sostegno dell’internazionalizzazione, esaltando l’integrazione tra servizi finanziari (Simest), assicurativi (Sace), promozionali e di consulenza sui mercati esteri (Ice). Il punto di raccordo sui mercati esteri erano gli uffici dell’Ice, in sinergia con le Camere di Commercio, avendo le Ambasciate il ruolo storico di coordinamento e indirizzo oltre a quello di tradizionale diplomazia economica bi-laterale, tramite il contatto con le autorità, ma non il ruolo di sostegno alle relazioni commerciali.
Le elezioni del 2001 hanno cortocircuitato questo progetto. Esso peraltro scontava già evidenti scollamenti tra petizioni di principio, norme e risultati operativi, soprattutto a causa del limitato potere del Cipe, dei diversi gradi di preparazione al livello territoriale e della debolezza dell’intervento promozionale regionale, spesso frammentato e sovrapposto rispetto a quello nazionale.
Alla formazione dei governi di centro-destra è seguito un decennio di progetti riformatori fuorvianti e mai realizzati. Già alla prima uscita, Silvio Berlusconi esponeva la sua vision per l’internazionalizzazione: ruolo più attivo degli Ambasciatori come promoter commerciali e assorbimento del Ministero del Commercio estero e dell’Ice da parte del Ministero Affari Esteri (Mae). Era un’ipotesi dal fiato corto, infatti pochi mesi dopo, nel luglio 2001, Berlusconi spiegava che non poteva essere realizzata per mancanza di fondi.
Caduta l’idea della “grande riforma”, con l’avvento di Franco Frattini alla Farnesina si è ricominciato a discutere di valorizzazione del ruolo del Mae affida-ta, invece che a modifiche normative, ad aggiustamenti regolamentari e a documenti di orientamento.
Questa linea si è poi concretizzata nel 2004 nella firma di una “convenzione a tre”, fra Mae, Ministero delle Attività produttive (Map) e Ice, che prevedeva una più stretta collaborazione tra Ice e Ambasciate e possibili sinergie in termini di logistica e unificazione delle sedi estere.
Non venivano invece in alcun modo affrontati i temi del coordinamento con le Regioni e con tutti gli altri enti, come Enit, Camere di Commercio, Buonitalia, che realizzavano attività promozionali all’estero con fondi pubblici collaborando solo in pochi casi e in modo limitato con Map e Ice, né si metteva mano al miglioramento del legame tra il sostegno all’internazionalizzazione e la politica industriale.
Il trasferimento alle Regioni di competenze in materia di commercio estero, avviato con la riforma Bassanini e ampliato nel 2001 con la modifica dell’art. 117 della Costituzione, nel Titolo V, ha moltiplicato i centri di intervento e di spesa, alimentati anche dai cospicui fondi messi a disposizione dalle politiche di coesione, generando un elevato livello di sovrapposizioni e diseconomie nelle attività promozionali realizzate sui mercati esteri, in assenza di efficaci metodologie di raccordo e coordinamento a livello statale e interregionale.
Nel frattempo, e alla luce degli evidenti limiti della strategia basata su una riforma per via pattizia, il Vice Ministro Adolfo Urso proponeva e faceva approvare la Legge n. 56 del 2005 che, oltre a recuperare al Map un ruolo centrale nella definizione delle politiche di internazionalizzazione, istituiva una nuova struttura, lo Sportello estero per l’internazionalizzazione, e una nuova figura professionale, il “coordinatore dello Sportello”, che avrebbe dovuto assicurare il coordinamento operativo delle sedi estere di tutti gli enti a finanziamento pubblico.
Anche questo approccio è fallito totalmente: così come la precedente, risalente al 2003, anche la delega al riordino del 2005 è scaduta senza essere esercitata e gli Sportelli non hanno mai visto la luce, anche perché invece di consentire risparmi avrebbero aggiunto costi significativi legati alle nuove assunzioni, che avevano un chiaro odore clientelare.
La parentesi del secondo Governo Prodi (2006-2008) è caratterizzata dalla ricostituzione del Ministero per il Commercio con l’estero, sotto la guida del Ministro Emma Bonino, e dalla definitiva archiviazione del progetto degli Sportelli Unici, ma è troppo breve per realizzare riforme.
Nel quadriennio successivo (2008-2011), il nuovo Governo Berlusconi ripropone un identico copione, perlopiù con gli stessi attori. Ci sono ancora Franco Frattini agli Esteri e Adolfo Urso al Commercio estero mentre Claudio Scajola sostituisce Antonio Marzano allo Sviluppo Economico, nuova denominazione del Map. Anche i temi sono gli stessi: il rapporto Ice-Ambasciate e il braccio di ferro sulla gestione della rete estera dell’Ice tra Ministero Sviluppo Economico e Mae, che di fatto paralizza ogni possibilità di riforma. Di nuovo viene approvata una legge delega, la 99 del 2009, per il coordinamento e il riordino degli enti che non vede alcun seguito, nonostante due proroghe, prima fino a gennaio 2011 e poi ancora in extremis fino al novembre successivo. Di nuovo i temi reali sono fuori dall’agenda.
In questo totale stallo riformatore, giunto ormai al decimo anno, il Mae riesce comunque a conquistare piccole posizioni, ottenendo la co-presidenza di una nuova Cabina di regia, costituita informalmente attraverso una lettera a firma congiunta dei Ministri Scajola e Frattini al Presidente del Consiglio. La nuova Cabina, cui oltre ai due Ministeri partecipa soltanto la Confindustria, si limita peraltro a definire i calendari delle grandi missioni economiche internazionali, continuando a ignorare i nodi veri delle politiche pubbliche per l’internazionalizzazione.
Il decennio berlusconiano si concluderà nel peggiore dei modi. Nel vuoto di idee e di iniziativa politica, la crisi della finanza pubblica fa il resto, prima con pesantissimi tagli agli stanziamenti per l’internazionalizzazione, poi, con la manovra Tremonti del luglio 2011 che sopprime l’Ice, ormai classificato tra gli “enti inutili”. Questa misura, presa senza predisporre una fase transitoria o disegnare alternative, getta il settore nel caos, provocando vivaci reazioni da parte di lavoratori e imprese, a dimostrazione della centralità dell’Istituto nel lavoro di supporto sui mercati esteri.
Il Ministro Paolo Romani appronta in fretta un testo di ricostituzione di una nuova Agenzia per l’internazionalizzazione, fotocopia ed erede del vecchio Ice.
Il testo verrà poi usato dal Governo di Mario Monti per ricostituire l’Ice, con il Decreto Legge del 6 dicembre 2011, varato dal Ministro Corrado Passera cinque mesi dopo la soppressione: una ricostituzione affrettata e improvvisata, definita sotto la spinta dell’emergenza, come dimostra il fatto che sono state già necessarie tre successive modifiche legislative, con i D.L. 216 del 2011 e 83 e 179 del 2012.
Novità importanti sono un nuovo equilibrio nei rapporti tra Ministero dello Sviluppo Economico (Mse) e Mae, dove il secondo guadagna una posizione di maggiore rilievo, l’allargamento della cabina di regia ad altre amministrazioni pubbliche, Regioni incluse, e al settore privato e l’assegnazione ad essa del compito di dettare le linee programmatiche dell’azione di sostegno.
A sedici mesi dalla sua soppressione e a undici dalla sua ricostituzione l’avvio della nuova agenzia segna il passo e rischia di protrarsi per un tempo incompatibile con le esigenze di un sostegno pubblico efficace ed efficiente più volte espresse dalle parti sociali.
La sua gestazione è resa più lunga e complessa dall’allungamento delle procedure di indirizzo e vigilanza, ora affidate non più solo al Mse ma anche al Mae, da processi di espulsione della forza-lavoro inutili ai fini di reali risparmi di spesa e dannosi sul piano organizzativo e operativo, da un’insufficiente autonomia rispetto ai ministeri vigilanti, da un’incerta gestione della rete estera assoggettata a un condominio di fatto con le Ambasciate e da un nuovo schema organizzativo pericolosamente simile a quello dell’Ice-Istituto. Non si sono insomma fatti passi in avanti sulla gestione operativa e sull’organizzazione, quando invece sarebbe necessaria una netta semplificazione per rispondere alle sfide con risorse di fatto ridotte.
In sintesi, i punti di caduta dell’approccio del centro destra sono due.
Da un lato si è voluto agganciare il sostegno all’internazionalizzazione alla politica estera, scollegandolo dalle esigenze delle imprese e indebolendo il Mse che veniva privato di uno strumento tradizionale di policy. Ciò si deve anche a difficoltà interne al Mse. Infatti esso non riesce ad assorbire fino in fondo i contraccolpi delle tante ristrutturazioni che si susseguono negli anni. Più in particolare, non integra nel modo dovuto politiche industriali e di sostegno e non imprime a queste ultime una direzione precisa.
Dall’altro ha giocato l’incapacità di un coordinamento in Italia e il tentativo fallimentare di esercitarlo all’estero, tra i terminali delle varie entità pubbliche e private che vi hanno interesse.
Nella visione del centro-destra le politiche per l’internazionalizzazione sono solo un complemento della politica estera dell’Italia, e questo ha condotto a soluzioni prevalentemente istituzionali e mai funzionali ai bisogni e alle priorità delle imprese.
Si è rinunciato a razionalizzare il sistema a partire dalle politiche che nascono in Italia, in modo assolutamente autonomo, all’interno dei vari Ministeri ed Enti preposti e si è affrontato il problema del coordinamento soltanto a valle, al livello dei terminali esteri dei vari organismi come Mae, Ice, Camere, Enit.
Si è rinunciato altresì a far funzionare la “cabina di regia” e ad affrontare seriamente il tema del rapporto con le Regioni.
Infine, non si è dato ascolto alle voci che sempre più numerose chiedevano un ammodernamento degli strumenti operativi, in particolare dell’Ice, facendo invece affidamento su tattiche dilatorie e di corto respiro.
Parallelamente a questa involuzione, ha preso sempre più corpo l’abbinamento tra le politiche per l’internazionalizzazione e la “diplomazia economica” che è forse servita a giustificare la rivendicazione di competenze da parte del Mae nella materia ma al tempo stesso denotava una marcata incomprensione dei nuovi contesti nei quali le imprese sono chiamate a svolgere il proprio ruolo.
La “diplomazia economica” può ancora oggi rivestire un ruolo, nell’ambito della concertazione tra Ministeri, in alcuni paesi che mantengono un forte intervento pubblico nell’economia nonché per tutelare gli interessi di grandi gruppi industriali e affrontare problematiche di fondo, quali ad esempio le politiche di approvvigionamento energetico, le infrastrutture logistiche internazionali e gli accordi commerciali multilaterali. Il ruolo della rete diplomatica resta importante come piattaforma di relazioni politiche internazionali e come interfaccia con le pubbliche amministrazioni nazionali competenti, per il sostegno all’internazionalizzazione così come per qualsiasi altro settore dell’attività amministrativa. Non tenerne conto nel formulare la politica economica estera sarebbe un controsenso.
Per contro, pretendere che l’attività degli enti preposti al sostegno delle Pmi sui mercati esteri sia tutta inscritta nella diplomazia economica o commerciale significa soltanto sviare dai fini loro propri e probabilmente sperperare rilevanti risorse umane e finanziarie.
Infatti la diplomazia non ha nulla a che vedere con gli interessi delle piccole e medie imprese, che rappresentano l’ossatura del sistema produttivo ed esportativo italiano e che si confrontano nel mondo su tematiche di business e di mercato che esulano dai confini dell’azione della diplomazia. Le Pmi hanno bisogno di sostegni tecnici, di marketing, legali e finanziari che informino e incidano su fattori economici come prezzo, qualità, dinamica e dimensione dei segmenti di mercato. L’aver rinunciato a capire i reali meccanismi di penetrazione dei mercati e quindi a tarare gli strumenti di sostegno a questi fini ha portato a identificare nella “diplomazia economica” il succedaneo di una politica economica estera e di una politica industriale orientate all’integrazione mondiale.
Un decennio di confusione programmatica e operativa del centrodestra, segnato dal lancio di proposte propagandistiche e iniziative in conflitto tra loro e da una sostanziale incapacità riformatrice, non ha risolto alcun problema e si conclude lasciando in eredità un groviglio amministrativo e una paralisi operativa da cui ancora oggi si stenta ad uscire, facendo mancare alle imprese italiane il supporto di cui hanno bisogno proprio nel mezzo di una crisi durissima.

Il sostegno all’internazionalizzazione come pilastro fondamentale di una nuova politica industriale
L’affrettata ricostituzione dell’Ice, pur se dovuta, e la creazione di un’ennesima cabina di regia di per sé non affrontano davvero i nodi che da dieci anni attendono una soluzione, lasciando aperta la necessità di approntare, nella prossima legislatura, una seria revisione degli strumenti, delle strutture dedicate a sostenere i processi di internazionalizzazione e delle modalità di governance. Occorre dunque individuare e attuare un complesso di iniziative che offrano alle imprese, e alle Pmi in particolare, soluzioni concrete ai loro problemi, prestando attenzione al loro feedback e affrontando le tante questioni sul tappeto sia a livello di architettura istituzionale sia a livello operativo.
Due sono i punti partenza di un processo riformatore, che renda il sostegno all’internazionalizzazione sinergico con la politica industriale:

1. Intervenire sulla governance per armonizzare il sostegno all’internazionalizzazione

Obiettivo 1.a - Ricondurre le politiche per l’internazionalizzazione nell’alveo della politica industriale
Da più parti viene oggi richiamata l’esigenza di una politica industriale lato sensu, intesa come intervento della mano pubblica per facilitare lo sviluppo di tutti i comparti produttivi. Il governo può e deve, grazie anche a un rispettoso e attento ascolto delle esigenze delle istituzioni e delle parti coinvolte, esprimere priorità e indirizzi di tale intervento, decidendo a quale uso destinare le risorse disponibili.
Mentre la titolarità della politica economica estera spetta al Ministero dell’economia e delle finanze (Mef) per gli aspetti macroeconomici e finanziari, essa deve essere riconosciuta al Mse per la politica industriale. Appare inoltre indispensabile razionalizzare e semplificare il sistema esistente, per quanto possibile, data anche la complessità dei fenomeni e delle strutture cui la politica industriale si riferisce. Nell’ambito delle politiche di sostegno all’internazionalizzazione, ciò comporta prima di tutto ricostituire una leadership unitaria e coordinata e ricollocare con chiarezza le competenze nell’alveo della politica industriale invece che in quello della politica estera. La politica industriale include infatti in modo indissolubile il sostegno all’internazionalizzazione, non essendo concepibile un intervento pubblico sulla struttura produttiva che non tenga conto della sua integrazione internazionale.
Il Mae può svolgere un ruolo prezioso nel suo terreno specifico, che è quello della diplomazia economica, con la quale la politica estera adopera i propri strumenti anche al fine di tutelare gli interessi economici del paese, ma va evitato il rischio di una confusione di ruoli con i ministeri economici, soprattutto per quanto riguarda i rapporti con le imprese.
E’ anche opportuno ricreare, sul piano dell’indirizzo e su quello organizzativo, una maggiore unitarietà tra politiche di sostegno in Italia e all’estero. Nel ridisegnare il sistema occorre sfruttare le evidenti e importanti sinergie tra politica industriale e sostegno all’internazionalizzazione, in un gioco di squadra tra diversi dipartimenti del Mse, oggi invece trincerati dietro le proprie competenze, che porti alla formulazione di indirizzi e programmi integrati. Più ancora dell’assurda vicenda della soppressione dell’Ice, questo è uno dei limiti maggiori della gestione del Mse degli ultimi anni .
Nei paragrafi 1.c e 2.c vengono presentate le principali misure che discendono dall’impostazione qui delineata.

Obiettivo 1.b – Coordinare gli interventi attraverso un rafforzamento della collaborazione e dei meccanismi decisionali, per un sistema trasparente e coeso
E’ indispensabile migliorare sostanzialmente la governance del sistema, in modo da eliminare gli sprechi legati alle duplicazioni di attività, alla mancanza di coordinamento e a politiche autoreferenziali che poco hanno che vedere con i servizi al sistema produttivo.
Ministeri, enti e agenzie nazionali, regioni e le loro strutture operative, sistema delle camere di commercio in tutte le sue articolazioni in Italia e all’estero, associazioni di categoria a livello nazionale, regionale e provinciale, università ed enti fiera, istituti di credito specializzati a capitale pubblico sono le principali realtà che, a vario titolo e in diversa quantità, realizzano attività di sostegno all’internazionalizzazione utilizzando fondi pubblici. La spesa complessiva stimata da uno studio realizzato da McKinsey su incarico di Confindustria, Abi, Alleanza cooperative italiane e Ania ha superato 680 milioni di euro nel 2010.
L’emergere di tante realtà in grado di rappresentare i bisogni di internazionalizzazione del sistema economico è un patrimonio del paese che va salvaguardato. Ma, allo stesso tempo, va massimizzata l’efficacia della spesa e vanno evitati gli interventi sovrapposti e frammentati, particolarmente evidenti nel caso di alcune grandi fiere internazionali. In quelle occasioni, altri importanti paesi europei si presentano con pochi padiglioni che ospitano tutte le imprese connazionali mentre la presenza italiana è dispersa in decine di piccoli e grandi padiglioni istituzionali, organizzati da altrettante realtà di sostegno locali e nazionali.
L’esperienza di questi anni insegna che scambi di informazioni e un coordinamento basato sulla sola buona volontà e/o sul principio della leale collaborazione non sono sufficienti a creare un sistema efficace nel prevenire diseconomie generate da frammentazioni e sovrapposizioni. Occorrono dunque soluzioni organizzative che prefigurino una più certa divisione di compiti e assegnino chiaramente le responsabilità decisionali. Tali soluzioni devono applicarsi a tutti i soggetti pubblici che gestiscono fondi per il sostegno all’internazionalizzazione, siano tali fondi derivanti da entrate proprie, come ad esempio quote associative obbligatorie, o siano invece ricevuti dallo stato.

Istituzioni e fiere

Misure

  • Creazione di un Sistema integrato per l’internazionalizzazione (Sinte), con la finalità principale di tutelare l’interesse pubblico alla crescita economica e al miglioramento dei rapporti economici e finanziari dell’Italia con il resto del mondo. Il Sinte adotta procedure e metodi efficaci, snelli e tempestivi e incentiva la collaborazione tra enti regolatori e attuatori, sia pubblici che privati. In questa sede si elabora la vision del paese in materia di politica economica estera, da sottoporre periodicamente a confronto pubblico. Il Sinte è formato da un Consiglio centrale e 20 Consigli regionali per l’internazionalizzazione, organi consultivi dei quali fanno parte enti decisori come Ministeri e Regioni, enti attuatori, come Ice, Sace, Simest, Camere di commercio, Agenzie regionali e Istituti di credito specializzati a capitale pubblico, e associazioni interessate all’internazionalizzazione, come ad esempio Associazioni imprenditoriali, Camere di commercio bilaterali e Associazioni degli italiani all’estero. I Consigli elaborano linee-guida condivise per le politiche pubbliche di sostegno e svolgono le altre attività loro affidate dalla legge.
  • Creazione, all’interno del Consiglio centrale per l’internazionalizzazione, di una Cabina di regia (CdR) presieduta dal Mse e composta solo da rappresentanti di Ministeri e Regioni, che svolge il lavoro operativo di programmazione, controllo e approvazione della spesa, emanando atti vincolanti ed elaborando ove necessario decreti interministeriali e proposte di legge. A differenza dell’attuale CdR (ex lege 214 del 2012) che è un organo consultivo, la CdR qui proposta è assistita da un Ufficio operativo con una sua dirigenza e un suo bilancio, il costituendo Dipartimento per il coordinamento in materia di internazionalizzazione (Dcmi), incardinato presso la Presidenza del Consiglio o presso il Mse; ove richiesto, si avvale inoltre del sostegno degli enti attuatori.
  • Abolizione dello sportello unico per l’attrazione degli investimenti e attribuzione delle sue competenze al Dcmi. Assorbimento di ogni altra istanza di coordinamento precedentemente esistente in quelle qui previste.
  • Definizione ex lege  del ciclo di programmazione delle risorse pubbliche in maniera coordinata, con l’indicazione di termini perentori per lo svolgimento delle attività di proposta, elaborazione ed esame.
    Nella fase di indirizzo, il Consiglio centrale per l’internazionazionalizzazione compone in una vision nazionale i punti di vista settoriale, territoriale e geografico, assegnando precise priorità ai diversi attori del sistema, anche secondo logiche di ripartizione dei compiti per dimensioni e capacità di intervento degli enti attuatori. Nella fase di programmazione, tutti i soggetti erogatori di fondi pubblici, Camere di Commercio incluse, sottopongono all’approvazione della CdR i piani finanziari e operativi delle proprie attività autonomamente elaborati, ricevendo a conclusione del processo di armonizzazione un visto di conformità. Nessun programma di sostegno locale o nazionale e nessun nuovo ufficio all’estero può essere attivato senza il nulla osta della CdR. Allo stesso modo vanno coordinati gli adattamenti dei programmi alle mutate condizioni di mercato su base trimestrale alla CdR tramite il Dcmi.
  • E’ essenziale a tal fine che il lavoro di armonizzazione e coordinamento sia assunto come priorità dalle amministrazioni centrali e regionali, individuando procedure e uffici di riferimento, nell’interesse prima di tutto delle imprese utenti, che devono poter contare su un sostegno certo, coerente e tempestivo.
  • Una volta definiti, i programmi e le attività vanno resi fruibili e comprensibili in tempo reale per tutti gli interessati, attraverso un sistema informativo nazionale che garantisca la trasparenza degli stanziamenti, delle iniziative e delle gestioni, come già avviene in Francia e in Germania, e consenta alle imprese e agli intermediari di partecipare in tempo reale e dare il proprio contributo di idee (vedi anche obbiettivo 2.b infra).
  • Tutti gli intermediari privati e tutte le imprese che abbiano i requisiti prescritti devono poter concorrere per l’ottenimento di servizi reali o finanziari o incentivi statali o regionali o per assumere il ruolo di erogatori per conto delle amministrazioni pubbliche.

Sistema integrato per l’internazionalizzazione

Flow chart

Obiettivo 1.c – Ottimizzare la divisione delle competenze, chiarendo ruoli, procedure e obbiettivi
Va stabilita un’appropriata divisione del lavoro tra amministrazioni deputate alla formulazione delle politiche e tecnostrutture: il rapporto tra decisori e attuatori va ricostruito tenendone distinti i ruoli e avendo in mente in primo luogo l’interesse pubblico alla crescita economica e al miglioramento dei rapporti economici e finanziari dell’Italia con il resto del mondo.
Inoltre è necessario rivedere la divisione di competenze e ruoli tra gli attori che operano ai livelli centrale e locale.
Dall’analisi delle caratteristiche delle imprese internazionalizzate e dei principali erogatori di servizi, emerge la necessità di una segmentazione dell’offerta di sostegno che tenga conto delle dimensioni e della capacità delle imprese assistite di essere presenti sui mercati esteri e del sistema territoriale e/o settoriale cui appartengano. Da un lato, per rendere più efficace il coordinamento in tema di sostegno all’internazionalizzazione, appare quindi utile stabilire una ripartizione di massima delle funzioni-obiettivo e dei target di imprese da servire. Dall’altro, resta indispensabile che il made in Italy venga promosso all’estero in modo il più possibile unitario: difatti, non si può prescindere dal raggiungere una massa critica degli interventi che abbia un certo impatto sugli interlocutori esteri, né dalla consapevolezza che il brand Italia è un patrimonio da gestire oculatamente.
In molti settori produttivi poi, gli interessi di promozione all’estero delle aziende si polarizzano intorno alle specificità ed alle aggregazioni di settore, che sono meglio in grado di interpretare e soddisfare i bisogni più evoluti, anche collettivi, di marketing internazionale: dall’analisi dei mercati, ai temi della ricerca e innovazione, della standardizzazione e certificazione, fino al lobbying internazionale. In altri termini, la promozione all’estero dei sistemi produttivi si fa principalmente per settore e per filiera e molto più raramente per territorio di offerta.

Misure

  • Piena attribuzione al Mse della competenza sul sostegno all’internazionalizzazione, anche al fine di ridurre significativamente i tempi delle decisioni da prendersi; sempre a tal fine, eliminazione della vigilanza del Ministero degli Affari esteri sull’Ice. Miglioramento dei meccanismi di coordinamento tra amministrazioni centrali e periferiche, rendendoli maggiormente efficienti ed efficaci.
  • Revisione delle modalità di interazione tra Dipartimenti del Mse e loro riorganizzazione per conseguire una maggiore integrazione e rendere operative le sinergie tra politica industriale e sostegno all’internazionalizzazione.
  • Politiche a sostegno dell’internazionalizzazione a livello territoriale basate sugli indirizzi individuati dai Consigli regionali per l’internazionalizzazione (Cri), dove si realizza il coordinamento orizzontale tra Agenzie di Promozione regionali, Camere di commercio e altri soggetti locali. L’assistenza alle imprese sul territorio è affidata alle Camere e alle Agenzie regionali, in collaborazione ove opportuno con l’Ice e gli istituti di credito specializzati. Abolizione degli Sprint.
  • Attuazione di una ripartizione delle competenze per attività e per target di imprese: da un lato Camere di commercio e Agenzie regionali possono esplicare la propria funzione sul territorio in materia di commercio estero mediante l’erogazione di servizi legati alla diffusione di informazioni sui mercati esteri e su come accedervi, l’organizzazione di corsi di formazione, anche in collaborazione con le università, e molteplici altre attività di assistenza e di primo orientamento alle imprese. Dall’altro devono avere come compito principale quello di individuare e affiancare le migliaia di imprese che non sono internazionalizzate, con particolare riguardo alla fascia delle micro-imprese potenzialmente esportatrici o che operano solo sporadicamente sui mercati esteri. Canalizzano, inoltre, verso le sedi estere delle amministrazioni facenti parti del Sinte e verso le altre strutture convenzionate, la domanda di servizi da parte di imprese e intermediari. Promuovono, infine, il territorio con il cosiddetto marketing territoriale per agevolare l’attrazione di investimenti diretti esteri o di flussi turistici.
  • Concentrazione delle attività di promozione da svolgersi all’estero su alcune importanti tecnostrutture, ovvero la Simest per i servizi finanziari, la Sace per quelli assicurativi e l’Ice per i servizi reali, in sinergia tra loro. Le Ambasciate, oltre ad assicurare il coordinamento complessivo in ciascun paese, lavorano in squadra con le tecnostrutture preposte su dossier di particolare rilevanza e/o laddove per le imprese italiane assume particolare rilievo il dialogo con le autorità locali.
  • Attribuzione all’Ice, in quanto ente nazionale, del compito di servire le imprese all’estero, con particolare riguardo a quelle che fanno parte di filiere di rilievo nazionale e/o si trovano in una fase di consolidamento sui mercati oltre confine e che sono di dimensione medio-piccola, in modo da agevolarne un maggiore radicamento attraverso lo sviluppo di reti distributive o produttive, l’inserimento nelle global value chains e un maggiore coinvolgimento in attività che favoriscano l’innovazione. Da un lato l’Ice deve costituire la best practice pubblica nella fornitura diretta di servizi di sostegno nei mercati emergenti e nei settori innovativi. Dall’altro deve facilitare, nei paesi e nei settori più maturi, lo sviluppo di intermediari privati italiani attraverso l’erogazione per il loro tramite di sussidi mirati e la creazione e la diffusione di beni pubblici come informazioni, studi, formazione manageriale e know how.
  • Attribuzione all’Ice del ruolo di presiedere alla promozione unitaria del sistema economico italiano e del made in Italy sui mercati esteri. Per le attività di promozione da svolgersi all’estero vanno poste regole e procedure vincolanti con finalità di coordinamento fin dalla programmazione, come menzionato sopra a proposito della Cabina di regia.
  • Ricerca di un raccordo tra Sinte e camere di commercio italiane all’estero (Ccie), organismi associativi privati rappresentativi degli interessi delle business community italiane e locali, talora riconosciuti dal Mse e federati con Unioncamere attraverso Assocamerestero. Ove possibile, stipula di convenzioni tra Ice e Camere di Commercio, paese per paese, per descrivere le attività da affidare alle Ccie, nel rispetto dei rispettivi ruoli e della complessiva efficacia del sostegno alle imprese. Le Ccie convenzionate devono essere in grado di rispettare gli standard minimi di servizio del Sinte, sottoporsi a verifiche di efficacia dei servizi offerti e offrire precise garanzie circa l’inesistenza di conflitti di interesse tra le attività dei propri soci già operanti nel mercato di riferimento e l’erogazione di servizi tesi a facilitare l’introduzione di nuove imprese.
  • Inventario e monitoraggio delle imprese e delle comunità d’affari italiane all’estero e delle loro risorse, in funzione di un maggiore raccordo con l’azione pubblica di sostegno.

2. Ridisegnare il sostegno pubblico all’internazionalizzazione

Obbiettivo 2.a – Individuare una nuova vision e stabilizzare le risorse
Durante tutto il governo Berlusconi, e in parte durante il precedente governo, hanno avuto luogo un progressivo abbandono dell’intervento pubblico e drastici tagli degli stanziamenti. Pur tenendo conto dei vincoli imposti dal bilancio pubblico e dalle minori risorse disponibili, è necessario colmare il vuoto di vision e di politiche credibili e sostenibili. L’intervento istituzionale a sostegno del sistema economico nell’ambito dell’internazionalizzazione deve proseguire, avvalendosi di strumenti quali-quantitativamente adeguati, moderni e integrati.

Conferimenti

Misure

  • Stabilizzazione delle risorse nazionali e territoriali sui livelli 2009-2010, anche in connessione con i fondi europei laddove applicabili, e incremento delle iniziative interregionali.
  • Quanto all’Ice, assegnazione di risorse complessive, ovvero per il funzionamento e le attività, adeguate al respiro strategico delle attività dell’Agenzia. Occorre puntare a un volume di spesa totale di almeno 230 milioni di euro all’anno, compreso il cofinanziamento privato, che consenta un aumento selettivo dei servizi prodotti e dei paesi presidiati e un rafforzamento dell’attività di stimolo allo sviluppo delle imprese private produttrici di servizi di sostegno.

Obiettivo 2.b – Usare le risorse pubbliche in modo razionale e trasparente, regolamentandone la gestione. Costruire un sistema omogeneo di determinazione di obbiettivi e programmi e uniformare le procedure di valutazione. Individuare un nuovo business model
Un’importante area di lavoro riguarda la regolamentazione della gestione di fondi pubblici per il sostegno all’internazionalizzazione, sia a livello centrale che periferico: le risorse disponibili vanno utilizzate secondo criteri strategici, trasparenti, imparziali, perseguendo la massimizzazione dell’efficacia della spesa e compatibilmente con la disciplina comunitaria sugli aiuti di Stato.
Occorre costruire obiettivi, programmi e procedure di valutazione, con metodi all’altezza della sfida portata dalla rinnovata competizione mondiale, anche al fine di eliminare rendite di posizione immotivate, politiche autoreferenziali e sviamento dell’uso dei fondi dalle finalità primarie. La qualità degli interventi deve essere attentamente monitorata in tutto il sistema e per tutti gli enti attuatori, operanti ai vari livelli, con le stesse metodologie e in maniera indipendente. Gli enti erogatori privati che usano fondi pubblici devono essere preventivamente certificati.
Nel razionalizzare la spesa occorre individuare un nuovo business model per il sistema nel suo complesso e per gli attori di parte pubblica. E’ importante a tal fine ridurre il perimetro all’interno del quale gli enti esecutori offrono direttamente servizi e all’esterno del quale prediligono invece l’erogazione dei servizi stessi tramite terzi o il rimborso di spese sostenute dai beneficiari. Ovviamente nel rispetto di criteri di trasparenza e di imparzialita’ , proprie di una gestione efficiente ed efficace delle risorse pubbliche.
Misure

  • Affidamento delle funzioni di indirizzo e programmazione ex-ante a Ministeri e Regioni, con il sostegno del Consiglio centrale e della Cabina di regia (vedi supra, obbiettivo 1). I Ministeri cessano quindi di distribuire fondi direttamente e senza procedure di gara a entità di diritto privato, come Associazioni di categoria e Camere di commercio italiane in Italia e all’estero. Il controllo sui risultati è affidato alle strutture preposte in ciascuna amministrazione e può essere oggetto di un monitoraggio della Cabina di regia per quanto riguarda il sistema nel suo complesso, il confronto tra enti e l’efficacia della spesa per la parte affidata a intermediari.
  • Conferimento di tutti gli stanziamenti per il sostegno dell’internazionalizzazione ad enti pubblici attuatori come Ice, Agenzie regionali di promozione, Camere di commercio e Istituti di credito specializzati a capitale pubblico, sulla base di piani di attività che indichino i risultati attesi e siano stati regolarmente approvati dalle istanze di supervisione ad essi preposte.
  • Erogazione diretta da parte degli enti attuatori alle imprese e agli intermediari dei servizi reali e finanziari di sostegno.
  • Ove previsto, indizione, da parte degli enti attuatori, di bandi di gara per la redistribuzione delle risorse per il sostegno tramite imprese o intermediari privati, sulla base di obbiettivi e procedure di selezione trasparenti e uniformi.
  • Incentivazione della cooperazione tra imprese attraverso il sostegno a gruppi stabilmente organizzati, come consorzi, filiere e distretti, con modalità trasparenti e competitive di assegnazione delle risorse.
  • Coordinamento sempre più stretto tra erogatori di servizi di sostegno reali e finanziari, nel rispetto dei reciproci ruoli; predisposizione di pacchetti di servizi integrati.
  • Coordinamento con le realtà omologhe europee e di altri paesi, anche al fine di verificare la possibilità di convergenze o alleanze su specifici progetti per paese o regione o settore.
  • Definizione degli standard di qualità, efficacia ed efficienza per tutti i servizi erogati alle imprese e verifica del loro raggiungimento da parte degli affiliati al Sinte tramite ispezioni o controlli periodici mirati, da affidarsi a un nucleo ad hoc costituito presso la Corte dei conti o il costituendo Dipartimento per il coordinamento in materia di internazionalizzazione (vedi supra, obbiettivo 1).
  • Raccolta, anche per via telematica, da tutti i membri e gli affiliati al Sinte (vedi supra, obbiettivo 1), di informazioni di dettaglio circa le risorse pubbliche impegnate, le attività svolte, in Italia e all’estero, e i relativi risultati, con finalità statistiche e strategiche, di monitoraggio del raggiungimento degli obbiettivi e di controllo del rispetto degli standard di qualità dei servizi.
  • Semplificazione degli incentivi e delle relative modalità di accesso, per tutti gli erogatori di servizi o fondi pubblici, anche tramite l’uso di un’unica infrastruttura informatica. Completa revisione dell’infrastruttura stessa, per migliorare la diffusione di informazioni e la raccolta di adesioni alle attività del sistema pubblico e per facilitare la collaborazione tra le diverse parti del Sinte ma soprattutto tra imprese sui mercati esteri. Uno dei progetti più importanti in questa direzione è quello dell’International Trade Hub-Italia, già avviato e finanziato dal Mse e da affidarsi all’Ice, per l’informatizzazione delle procedure di erogazione di servizi relativi alle transazioni commerciali con l’estero e la gestione dei relativi flussi documentali anche attraverso la collaborazione con il sistema bancario.
  • Organizzazione, ad opera del Consiglio centrale (vedi supra, obbiettivo 1), di una conferenza annuale sui servizi pubblici per l’internazionalizzazione, per esaminare, anche attraverso commissioni e gruppi di lavoro su temi specifici, piani, metodologie e risultati dell’azione di sostegno.

Obiettivo 2.c – Riposizionare e riorganizzare l’Agenzia Ice
È necessario riposizionare strategicamente l’Agenzia Ice, valorizzandone l’esperienza e la specializzazione tecnica in materia di market intelligence e di servizi reali di formazione, informazione, accompagnamento, promozione internazionale, erogati nel quadro di un sistema di qualità ISO 9001 e valutati positivamente dai beneficiari, oltre 20.000 imprese l’anno. Allo stesso tempo è necessario recuperare la snellezza e la tempestività grazie alle quali ha costituito in passato un esempio per molte altre Trade Promotion Organization straniere.
Per giungere a tanto è necessario invertire la tendenza, introdotta dalle recenti leggi sull’Ice, al ridimensionamento quantitativo dell’organico, all’eccessiva discrezionalità circa molti aspetti dell’impianto e dell’attività e al consociativismo che informa il disegno degli organi di amministrazione. Occorre anche evitare che l’Agenzia si ripieghi all’interno di un complicato micro-management da parte dei due Ministeri vigilanti, tra istanze di servizio all’impresa e di supporto alla politica estera.
Se non si cambia rotta, si corre infatti il rischio di una “ministerializzazione” della nuova Agenzia, a causa non solo della sua scarsa autonomia ma anche della composizione del consiglio di amministrazione: il doppio legame dei suoi membri con le grandi associazioni imprenditoriali e i Ministeri vigilanti è fattore al tempo stesso di appiattimento burocratico e di subalternità a esigenze diverse da quelle istituzionali.
Occorre riportare l’Ice nell’alveo della sua vera mission, che è quella di porsi al servizio dell’intera economia italiana, in modo snello e diretto, da consulente per l’internazionalizzazione di istituzioni, imprese e intermediari.
Misure
Il Governo dovrebbe attuare le seguenti misure nel breve periodo.

  • Piena riattivazione dell’Agenzia e ritorno ai livelli di attività anteriori alla soppressione dell’Ice.
  • Incremento della redditività con l’adeguamento delle tariffe, l’acquisizione di commesse di enti pubblici e di privati, lo sviluppo di un piano di marketing in linea con le esigenze dei diversi segmenti della clientela privata e pubblica, la creazione di una rete di collaborazioni tra Ice e altre Amministrazioni e una gestione più integrata della componente internazionalizzazione dei fondi europei di sviluppo.
  • Marcata semplificazione delle procedure anche attraverso l’accorpamento dei programmi promozionali in contenitori più ampi e un maggiore decentramento delle responsabilità verso la struttura e al suo interno, controbilanciato dall’adozione di controlli stringenti sui risultati e sulle procedure stesse.

Successivamente, a inizio della prossima legislatura sono da implementarsi le seguenti misure.

  • Accorpamento di Enit e Ice, considerate le evidenti, importanti sinergie e la necessità di razionalizzare e ridurre la spesa, attribuendo al nuovo ente tutte le competenze. Resta in vigore la vigilanza del Dipartimento per gli affari regionali, il turismo e lo sport sulla realizzazione delle attività di servizio per la promozione del turismo in Italia.
  • Attribuzione esplicita all’Ice dei compiti da svolgersi all’estero per l’attrazione di investimenti diretti esteri, con la supervisione del costituendo Dipartimento per il coordinamento in materia di internazionalizzazione del Mse. La funzione va svolta in collaborazione con le Regioni, grazie a una rete di consiglieri regionali per l’internazionalizzazione alle dipendenze del Mse e/o dell’Ice, nonché con Invitalia.
  • Formulazione di un unico piano di attività annuale articolato per settori e a cascata secondo le dimensioni geografica e del territorio italiano con il quale si individuino risorse, obbiettivi e modalità di attuazione per ognuna delle diverse modalità di sostegno, dall’informazione alla promozione, dalla consulenza a intermediari privati e singole imprese alla formazione e alla facilitazione degli investimenti e dei progetti di filiera.
  • Evidenziazione di obiettivi chiari e verificabili per ciascun paese estero in appositi piani di sviluppo annuali, da formularsi con l’apporto delle Ambasciate.
  • Semplificazione dei rapporti con i Ministeri vigilanti, all’insegna di una netta separazione tra i poteri di indirizzo politico, vigilanza e controllo.
  • Affidamento della sorveglianza sull’Ice a un solo Ministero, il Mse.
  • Rafforzamento dell’autonomia dell’Agenzia che preluda a una radicale semplificazione delle procedure e dei rapporti istituzionali, anche attraverso l’applicazione di normative contabili più adeguate alle esigenze operative degli uffici esteri. I poteri di programmazione esecutiva, di scelta delle modalità di attuazione e di gestione degli interventi devono essere garantiti all’Agenzia attraverso un’effettiva autonomia organizzativa, amministrativa, finanziaria e contabile, nell’ottica di un’assoluta trasparenza e di moderni sistemi di controllo su risultati e procedure.
  • Revisione del Consiglio di amministrazione, formato di membri indipendenti e non in rappresentanza di lobby o istituzioni. La direzione politica della nuova Agenzia dovrà essere professionale, forte e autorevole, certo in rapporto con le rappresentanze degli stakeholder ma libera da condizionamenti politici, burocratici e lobbistici. Amministratori indipendenti possono meglio rispondere alle esigenze di governo di una macchina complessa e soggetta a molteplici interazioni con controparti esterne di diversa natura e meglio attuare i cambiamenti necessari.
  • Revisione e riposizionamento strategico e mirato della rete estera e dei relativi organici, con particolare attenzione ai paesi in via di sviluppo e/o emergenti.
  • Maggiore autonomia a ciascun ufficio estero, nel quadro di controlli rafforzati.
  • Possibilità di usare incrementi negli incassi da corresponsione di servizi per espandere quali-quantitativamente l’offerta degli stessi da parte degli uffici esteri.
  • Coinvolgimento sistematico dell’Agenzia Ice nella formulazione dei piani di sviluppo economico del territorio italiano e nelle relazioni con l’Italia delle comunità di connazionali all’estero, in funzione di consulente per l’internazionalizzazione.
  • Ulteriore miglioramento delle procedure, aumento della produttività del lavoro e intensificazione delle attività di formazione interna, controllo di qualità e valutazione delle prestazioni, in quest’ultimo caso per perfezionare la gestione del personale anche attraverso un’ottimale allocazione degli incarichi, delle promozioni e del trattamento salariale accessorio.

Il complesso delle misure sopra elencate dovrebbe rendere il sostegno pubblico all’internazionalizzazione più trasparente, efficiente ed efficace e consentire al sistema di prevenire la maggior parte delle sovrapposizioni e dei conflitti di attribuzione, assegnando le risorse sulla base di valutazioni informate e puntuali e in un contesto normativo più chiaro. Ciò potrebbe anche attenuare o eliminare i contrasti che in passato hanno rallentato, con un gioco di veti incrociati, sia il miglioramento delle attività sia le riforme.
Contesto normativo e percorso attuativo
Un nodo determinante, che va risolto a monte dal legislatore, è rappresentato dal rapporto tra le politiche nazionali e quelle territoriali in tema di supporto all’internazionalizzazione. Ciò è chiaramente evidenziato dall’ampio dibattito sulla ripartizione della competenza legislativa relativa al commercio estero, che nel 2001 è stato inserito tra le materie di competenza concorrente Stato-Regioni, con la riscrittura dell’art. 117 della Costituzione. Come noto, ciò ha portato negli anni a numerosi conflitti di competenza davanti alla Corte Costituzionale dovuti alla difficoltà di stabilire un confine netto tra ambito di azione statale e regionale. Su tutte si veda la sentenza 175 del 2005.
Due sono gli scenari ipotizzabili nei quali si inscrive la revisione del sistema di sostegno, sopra delineata.
Lo scenario 1 prevede una revisione radicale dell’art. 117 della Costituzione e della ripartizione delle competenze, volta a riportare il commercio estero tra le materie di competenza esclusiva statale.
In questo caso il baricentro delle politiche all’internazionalizzazione verrebbe nuovamente spostato verso gli enti operanti a livello nazionale che gestirebbero la totalità dei fondi disponibili, impegnandosi a garantire economie di scala e di scopo negli interventi e ad adoperarsi affinchè l’intervento pubblico abbia una massa critica sufficiente.
Questo non escluderebbe comunque la possibilità di demandare una serie di interventi al livello territoriale.
Un vantaggio di questo primo scenario deriverebbe dal sostanziale ridimensionamento del ruolo rivestito dai meccanismi di coordinamento, sia orizzontali che verticali, che sono alla base di un efficace sistema di sostegno pubblico, ma che negli anni scorsi si sono rivelati del tutto inadeguati.
Al varo di una riforma costituzionale in tal senso si accompagnerebbero comunque disposizioni legislative per delineare i dettagli della ripartizione di funzioni e compiti, secondo quanto indicato sopra.
Lo scenario 2 prevede invece il mantenimento dell’attuale assetto costituzionale, oppure la revisione di alcuni aspetti del Titolo V.
In assenza di cambiamenti, la normativa costituzionale vigente e la potestà legislativa concorrente in materia di commercio estero implicano l’istituzione e il funzionamento di efficaci meccanismi di coordinamento. Pertanto occorre approvare al più presto, possibilmente entro il 2013, una legge-quadro che definisca i principi fondamentali in materia di commercio con l’estero, possibilità prevista dall’articolo 117 comma 3 della Costituzione.
In alternativa, la recente proposta governativa di revisione costituzionale, contenuta nel disegno di legge registrato il 15 ottobre 2012 al Senato con il numero 3520, pur mantenendo il commercio estero tra le materie di competenza concorrente, ambisce a rafforzare la possibilità di intervento e di coordinamento da parte dello Stato. In questo caso la necessità di emanare “principi fondamentali” previsti nell’art. 117 potrebbe essere superata, ma resterebbe comunque l’esigenza di atti normativi o regolamentari per garantire un efficace coordinamento.
In entrambi i casi, i confini delle attività da svolgere a livello nazionale e territoriale devono essere individuati con atti normativi, nell’esercizio dei poteri di indirizzo statale e coinvolgendo gli enti territoriali nell’elaborazione di meccanismi di governance che comprendano la programmazione e la scelta degli interventi.

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Raffaele Brancati – 8 novembre 2013

I numeri della politica industriale nel 2012.

Rilevazione MET sulle politiche attuate (prime letture aggregate)

Aspetti generali

La questione degli aiuti di stato all’industria italiana riemerge periodicamente nel dibattito politico ed economico. Due aspetti essenziali, spesso derivati da quantificazioni errate o da aneddotica legata a grandi imprese (si pensi ad Alitalia, o ad altri esempi recenti) assai poco rappresentative del tessuto produttivo italiano dominano le considerazioni svolte comunemente: l’industria italiana è un’industria non competitiva che sopravvive solo grazie a sussidi pubblici, l’entità di aiuti di stato (considerati come ineluttabilmente inefficaci) è tale da rappresentare un bacino consistente cui attingere per alleviare i problemi di finanza pubblica nazionali. In primo luogo i numeri. Esistono due modi per analizzare gli interventi dello Stato: il primo parte dal Bilancio dello Stato, mentre il secondo rileva le spese dei soggetti erogatori. La prima modalità è quella seguita dalla RGS e dal cosiddetto Rapporto Giavazzi eseguito nell’ambito della spending review del 2011-2012. Accanto agli indubbi pregi, questa modalità non riesce (a meno di approfondimenti specifici) a tener conto delle attività dei molti soggetti intermediari pubblici e privati che si occupano della gestione degli interventi e dei ritardi, talvolta consistenti, che si registrano anche in misure spesso considerate erroneamente di immediato impatto come il credito di imposta, né la gestione contabile corrisponde con precisione alle erogazioni reali. Chi si è affidato a tali fonti ha prodotto spesso numeri eclatanti. Vorrei ricordare le numerose dichiarazioni in sedi istituzionali del Senatore Baldassarri che faceva riferimento a circa 50 miliardi di euro/anno di incentivi alle imprese, le cifre analoghe presenti negli editoriali del Prof Giavazzi del periodo 2010-2011, successivamente scese a 30 miliardi di cui almeno 10 prontamente utilizzabili per riduzione delle spese (editoriali di Alesina-Giavazzi ancora sul Corriere nel corso del 2013). Un lavoro più analitico dello stesso autore faceva riferimento a valori prossimi ai 15 miliardi (che includevano ancora Ferrovie dello Stato, ANAS, spese militari e molto altro ancora) inseriti nel rapporto citato e pubblicato per i lavori sulla spending review nel 2012. Rimanendo strettamente ancorati ai settori produttivi privati, al netto dei trasporti, la cifra scende a circa 5 miliardi. La seconda modalità di calcolo del valore degli incentivi, seguita da MET, dal Ministero dello Sviluppo Economico e dall’Unione Europea -DG Concorrenza- , cerca di quantificare le risorse effettivamente incassate dalle imprese. Ciò che noi (MET) aggiungiamo è anche il tentativo di non considerare allo stesso modo erogazioni non rimborsabili e prestiti che le imprese devono restituire facendo ricorso a una trasformazione finanziaria generalmente riconosciuta e accettata in letteratura e nei regolamenti comunitari (il cosiddetto Equivalente Sovvenzione delle diverse misure). Il risultato (molto attendibile per l’industria) è una cifra di poco superiore ai 2 miliardi nel 2011 e nel 2012, cifra del tutto analoga a quanto indicato dalle rilevazioni della Unione Europea. Ha senso tutto questo sproloquio su numeri e contabilità? Si, se si considera che le quantità sono decisive per poter ipotizzare strategie di sostituzione di misure di politiche economiche. Se si tratta di 30 miliardi possiamo ipotizzare la sostituzione pressoché integrale dell’IRAP, se sono 10 miliardi le cose cambiano radicalmente ma qualcosa di significativo può essere ipotizzato, se stiamo parlando di 5, 3 o 2 miliardi forse una logica di attenta selettività può essere più opportuna di improbabili scambi. Ma se da questioni meramente ideologiche si passa alla reale possibilità di gestione (cos’altro dovrebbe fare un’amministrazione?), le cose sono ancora diverse e tagliano completamente le possibilità spesso evocate da tutti gli opinionisti che distrattamente si occupano della materia. Un documento ufficiale delle Sezioni riunite della Corte dei Conti del Maggio 2013 (Rapporto 2013 sul coordinamento della finanza pubblica) smentisce totalmente le tesi sulla grande disponibilità di risorse rivenienti dall’abolizione dei cosiddetti incentivi e recita testualmente. “L’esame condotto porta a ritenere che gli importi su cui è possibile ipotizzare uno spazio di razionalizzazione sono, almeno nel breve periodo, molto più ristretti di quelli ipotizzati. A fronte infatti di stanziamenti sul bilancio 2012…(sono i circa 15 miliardi del rapporto Giavazzi)… gli spazi effettivi di manovra sulle spese concretamente eliminabili possono stimarsi in 1.378 milioni per il 2012 (589 milioni per il 2013 e 572 milioni per il 2014)…..” Le spese per la politica industriale non sono ben gestite, i loro effetti sono spesso deludenti e hanno molti problemi: le questioni da affrontare sono molto serie (ancor più in una fase di crisi drammatica), ma non è opportuno discutere di quantità errate. Del resto non è accettabile l’ineluttabilità di politiche mal realizzate. Non credo sia accettabile un dibattito basato su un’alternativa secca: mantenere le spese per il sostegno alle imprese o cancellarle. La maggiore attenzione dovrebbe essere, piuttosto, sul come realizzare queste politiche, ovvero su come rendere efficaci risorse inevitabilmente scarse che devono trovare modalità operative strumenti e procedure adeguati partendo dai bisogni delle imprese e non da un generico disegno amministrativo più o meno di moda tra opinion leader.

Erogazioni della Politica industriale in Italia (milioni di euro), Industria in senso stretto e servizi alla produzione.

Serie storica agevolazioni 1999-2012

  I dati del 2012: prime e sommarie indicazioni

  • Gli importi complessivi erogati rimangono all’incirca invariati tra il 2011 e il 2012 su livelli ridotti: 2,2 miliardi in valori nominali nell’ultimo anno. Considerando le variazioni dei prezzi per i beni di investimento il calo delle risorse erogate tra il 2002 e il 2012 è stato di oltre il 70%.
  • Le dimensioni sono molto modeste se comparate con gli ambiziosi obiettivi che vengono posti a tali politiche e molto bassi rispetto a quanto realizzano (in termini finanziari) i partners europei nella stessa famiglia di interventi: in rapporto al PIL le spese per aiuti si collocano su valori molto inferiori alla metà di quelli della Germania e della Francia, quasi la metà della Spagna e inferiori persino ai valori della Gran Bretagna.
  • Le differenze tra regioni sono eclatanti. Si assiste a una sostanziale tenuta delle erogazioni nelle regioni del nord-ovest e nelle regioni a statuto speciale del nord-est, oltre che nell’Emilia Romagna. Valori oscillanti, ma con una relativa stabilità in Veneto, Toscana e Lazio. Crollo nelle regioni meridionali, pur in presenza degli interventi a valere sui fondi comunitari.
  • In un decennio la Campania passa da 1083 a 283 milioni per anno, la Puglia da 878 a 206, la Calabria da 591 a 87, la Sicilia da 822 a 135, la Sardegna da 467 a 40. Le erogazioni del Sud passano dal 71% di circa 6 miliardi al 38% di 2 miliardi.
  • Si tratta presumibilmente della combinazione tra un sistema produttivo industriale in grande difficoltà che non riesce neppure a domandare interventi in misura adeguata nei campi in cui si stanno orientando le politiche (R&S, Innovazione e Internazionalizzazione) e un sistema di offerta da parte dei governi nazionale e regionali che non sempre si rivela adatto al sistema produttivo nelle forme e nei processi adottati e manca di politiche di accompagnamento.
  • Nelle regioni meridionali si osserva una netta dicotomia tra la forte incidenza degli interventi per la Ricerca (in buona misura sostenuti anche dai programmi comunitari) e il peso del sostegno all’autoimpiego delle categorie svantaggiate (in primis inoccupati). Del tutto assenti risultano gli interventi a sostegno dell’internazionalizzazione. Nelle regioni del Centro-Nord, viceversa, alla forte prevalenza del Fondo Innovazione Tecnologica, si accompagna il rilievo del credito alle esportazioni.
  • Gli orientamenti sono anche il frutto degli strumenti principali attivi in Italia. Negli anni c’è stato un forte aumento del peso degli interventi regionali sul totale. Le Regioni gestivano tra il 10% e il 15% delle politiche industriali italiane all’inizio del decennio e superano il 35% nel 2012. Le amministrazioni più efficienti sono riuscite a sostenere meglio il livello di risorse erogate.
  • Gli strumenti principali della politica industriale continuano ad essere quelli nazionali e in particolare quelli dedicati alla R&S e all’Innovazione (Fondo Ricerca Applicata del MUR e Fondo Innovazione Tecnologica del MISE) con oltre 600 milioni nell’ultimo anno, e quelli dedicati al sostegno delle esportazioni.
  • La combinazione tra una scarsa capacità di attingere a risorse nazionali e una scarsa incidenza delle politiche regionali indebolisce fortemente la posizione delle regioni meridionali.
  • Gli interventi per garanzie pubbliche a sostegno dell’accesso al credito delle imprese (contabilizzato separatamente rispetto ai 2 miliardi per la sottostima derivante dal calcolo dell’Equivalente Sovvenzione per questa tipologia di interventi) si mantengono al livello dei 4 miliardi di garanzie prestate a valere sul Fondo Centrale di Garanzia cui si aggiungono gli interventi regionali che hanno avuto circa 160 milioni di nuovi conferimenti ai fondi. Anche in questo caso forte sperequazione tra Centro nord e Sud.
  • Se si confrontano i valori esposti con le dimensioni, nonostante tutto ancora molto ragguardevoli, dell’industria italiana si rileva in tutta evidenza come parlare di industria italiana come di industria “sussidiata” appare in media privo di fondamento. Appare errato persino se si prende come riferimento l’industria meridionale e quella delle regioni più deboli.
  • I fondi in oggetto sono sicuramente pochi in assoluto, del tutto inadeguati in relazione ai livelli di spesa dei partners e dei concorrenti internazionali (vedi Rapporto MET 2012), sicuramente non in grado di incidere in misura decisa sugli equilibri di finanza pubblica.
  • Gli interventi, sia pur modesti, meritano molta maggiore attenzione per accrescerne almeno le potenzialità in termini di risultati, attenzione sulle modalità di intervento e sulle forme delle politiche per accrescere radicalmente l’efficacia delle stesse.

Distribuzione delle erogazioni per obiettivo prevalente, medie nei bienni 2002-2003 e 2011-2012, valori percentuali.

Obiettivi Politica Industriale

 Principali strumenti con erogazioni nel triennio 2010-2012 a favore di industria e servizi alla produzione, totale nazionale, milioni di euro.

Strumenti Politica Industriale

 

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Rapporto sullo Small Business Acthttps://www.industrialpolicy.net/2013/politica-industriale/small-business-act/ https://www.industrialpolicy.net/2013/politica-industriale/small-business-act/#comments Thu, 20 Jun 2013 09:34:17 +0000 http://www.industrialpolicy.net/?p=176 Il Ministero per lo Sviluppo Economico ha pubblicato il Rapporto 2013 di monitoraggio delle iniziative adottate in attuazione dello Small Business Act (SBA), a favore delle microPMI in Italia. Il Rapporto ricostruisce, per ciascuno dei principi dello SBA, gli interventi approvati dalle diverse Amministrazioni nel 2012 e ne analizza lo stato di attuazione. Sono inoltre [...]

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Il Ministero per lo Sviluppo Economico ha pubblicato il Rapporto 2013 di monitoraggio delle iniziative adottate in attuazione dello Small Business Act (SBA), a favore delle microPMI in Italia.

Il Rapporto ricostruisce, per ciascuno dei principi dello SBA, gli interventi approvati dalle diverse Amministrazioni nel 2012 e ne analizza lo stato di attuazione.

Sono inoltre presentati i risultati di due indagini dirette alle imprese, di cui una dedicata ai Contratti di Rete.

Il Rapporto è consultabile a questo indirizzo.

Per riflessioni e approfondimenti sul tema è presente una discussione dedicata sul nostro forum.

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